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Le parole del Pontefice sulle accuse di genocidio rivolte a Israele

Le frasi del Pontefice Francesco con le quali dichiara: “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se si inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”, suscitano le seguenti riflessioni:

– Se a Suo dire vi sono degli esperti che considerano che a Gaza si stia compiendo un genocidio, è inutile indagare se ciò rientri nella definizione convenzionale ONU perché, se sono esperti non possono che partire dalla qualificazione della fattispecie. Altrimenti non resterebbe che pensare che a Suo dire, bisognerebbe anzitutto indagare se si tratta di veri esperti. Poiché non mancano alla Santa Sede i giuristi, non si capisce perché non possa decidere da sola, senza partire dalla menzione di giuristi le cui opinioni andrebbero vagliate. Poiché alla Santa Sede non mancano nemmeno i buoni autori di testi, e dato che a Vatican News non mancano nemmeno gli autori che dimostrano una scarsissima simpatia verso Israele, non si vede perché ricorrere, come fa tale fonte, a formule involute per dimostrare un atteggiamento di non necessaria aggressività verso uno Stato che subisce continui attacchi. La Santa Sede non necessita di esperti per capire che lo Stato d’Israele è invariabilmente l’aggredito e non l’aggressore. Anche il personale meno qualificato ne è al corrente.
– Il carattere superfluo di un intervento di questo tipo, superfluo perché coloro che attaccano Israele, non ora ma da sempre sono legione, comporta però dei danni non superficiali: in seno alle coppie miste, per un attacco gratuito e ingiustificato, di fronte alla chiara lettera della Convenzione ONU, in seno alla società in generale, che vede la crescita della demonizzazione dello Stato ebraico, in seno alle Associazioni di Amicizia Ebraico – Cristiane, dove i cristiani si troveranno nel dilemma fra seguire le parole del Papa oppure proseguire nei rapporti coi fratelli maggiori;

– L’inutile giro di frasi usate per produrre un testo tutt’altro che anfibologico non riesce a celare la poco felice transizione dall’accusa di deicidio a quella di genocidio. Se per superare la prima ci son voluti 1965 anni, per superare la seconda ci vorrà pure qualche millennio. Se il Pontefice voleva essere ricordato, ha raggiunto il suo scopo;

– Se i Vangeli fossero materia obbligatoria d’insegnamento – come sarebbe giusto che fosse – si terrebbe ben conto di Giovanni 8:7: E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Per non dire di Matteo, e della sua lezione su eloquio e mitezza.

– Poiché, in modo infondato, si ritiene che l’ebraismo non conosca il perdono e il cristianesimo sì, potremmo asserire che si può perdonare che con queste frasi si sia inferto un vulnus senza alcuno scopo utile all’amicizia fra ebrei e cristiani il cui approdo ha richiesto tanta fatica. Il dialogo ebraico-cristiano è piuttosto recente, nasce nel dopoguerra, i quasi due millenni precedenti sono stati molto negativi. Il dolore, però, resta perché – e questo il Pontefice di sicuro non lo sa – in questo orribile frangente bellico gli ebrei sono sostenuti dall’apporto meraviglioso di molti cristiani, non tutti, ma un nucleo significativo dal punto di vista morale e intellettuale, nei cui riguardi la gratitudine del popolo ebraico non sarà mai abbastanza grande.

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