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Davide, discolpati – Un testo da ricordare del Presidente della Comunità Ebraica di Venezia

Sta tornando di moda chiedere agli ebrei della diaspora di condannare Israele. E si chiede, ancora una volta, all’ebreo di discolparsi.
Non mi discolpo. E parlo, naturalmente, a titolo personale.
Non mi discolpo perché in Italia gli ebrei sono poco più di venticinquemila, attivi forse duemila, e non contano nulla. Netanyahu non ascolta Biden. Figurarsi se ascolta noi. Ci dirà invece: venite voi a difendere Israele, “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case”.
Non mi discolpo anche perché siamo una comunità di poche migliaia di persone, decimata dalla storia, coesa in un equilibrio delicato. E, inoltre, una voce critica del governo viene a buon diritto compensata da una voce che non vede alternative realistiche al suo operato.
Non mi discolpo perché a chi mi critica non si chiede mai di condannare i loro riferimenti, si tratti di capi di partito, governanti-amici, o il soglio di Pietro. Ma l’ebreo deve dissociarsi e dichiararsi innocente. Non mi discolpo perché a nessun altro si chiede di dichiarare la sua posizione politica, per poi usarne le parole; e perché non mi corre l’obbligo di dichiarare la mia crisi, fra riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza e la mia fede nel valore della vita umana e dei diritti di tutti.
Non mi discolpo perché, sulla bilancia della verità, non si riconosce a Israele lo stesso peso che si riconosce ai palestinesi e ai terroristi di Hamas. E se io devo denunciare Netanyahu per compiacere qualcuno, qualcuno dovrebbe condannare con sincera convinzione il terrorismo di Hamas & Co. Ma lo scandalo per il 7 ottobre è durato qualche giorno. Poi, il silenzio. E non c’erano ancora bombardamenti a Gaza.
Non mi discolpo perché, per settant’anni, non ho sentito condanne per gli attentati ai caffè, agli autobus, alle discoteche e alle sinagoghe. Non guerra fra eserciti, ma massacri di civili, come d’uso. Dentro Israele e fuori, contro gli ebrei della diaspora.
Due pesi e due misure: si è detto che gli israeliani, il 7 ottobre, se la sono cercata. Diremo, allora, che la distruzione di Gaza i palestinesi se la sono cercata lasciandosi governare da Hamas? Al terrorismo si concedono attenuanti; non a uno stato minacciato di eliminazione. E si distingue il bene dal male in base al numero dei morti, cancellando la storia in nome di un umanitarismo a senso unico e dimenticando chi ha cercato la pace investendo miliardi di dollari in armi e tunnel anziché in scuole, ospedali e attività industriali.
C’è, infine, una ragione irrinunciabile per cui non mi discolpo. Israele è nata sulle ceneri della Shoah: un milione di sopravvissuti sfuggiti all’odio e all’indifferenza dell’occidente. Duemila anni di massacri mi legano al suo destino. Non giustifico tragedia con tragedia, sto solo proponendo una
riflessione storica. Per un ebreo che ha ereditato la Shoah, criticare Israele è un atto contro natura. Peccato che il mondo non lo capisca. Ovviamente, da buon ebreo, potrei non essere d’accordo con me stesso. Ma questo è assolutamente normale.

(Tratto da Il Foglio, del 16 Ottobre 2024)