Secondo Michel Dreyfus (Le pacifisme, vecteur de l’antisémitisme à gauche dans les années 1930, Archives Juives, 2010/1 (Vol. 43), p. 54-65) l’antisemitismo francese della sinistra pacifista degli anni ’30, s’iscrive nell’ambito della terza grande ondata antisemita in Francia, dopo la Rivoluzione francese. Si sarebbe passati dall’antisemitismo economico basato sul risalente antisemitismo religioso, a quello moderno del 1880, incarnato da Édouard Drumont, ispiratosi alla razza. Indi, negli anni trenta, volendo evitare a tutti i costi un nuovo conflitto mondiale, i pacifisti sostengono la trattativa con Hitler. In una Francia segnata dalla Grande Guerra, incapace di comprendere la novità e la specificità del nazismo, un numero crescente di pacifisti denuncia sempre più apertamente gli ebrei, e in primo luogo Blum, come irresponsabili che spingono per il conflitto contro Hitler perché vorrebbero vendicarsi del danno inflitto ai loro correligionari in Germania. Non è privo d’interesse notare che, in quel periodo, si accusava gli ebrei di essere troppo presenti in politica; se aggiungiamo che in Italia ha avuto una gran fortuna nei piani alti della cultura, la tesi che gli ebrei non stanno in politica perché non credono nel paese, diventa facile concludere che gli ebrei (come sempre) hanno colpa a prescindere, sia perché presenti sia perché assenti. Altri ingredienti in questa pozione infernale furono introdotti dal peso di uno scrittore come Céline, in veste pacifista, così come dai finanziamenti tedeschi al pacifismo.
Aggiornandoci nello spazio e nel tempo, in Italia e ai nostri giorni, la catastrofe prende le mosse, paradossalmente, da un fatto che si presenta sotto i migliori auspici, costituito dalla fine delle ideologie, come descritta da Lucio Colletti da noi e da Daniel Bell negli USA. Scambiata la figura marxiana del proletario con quella Woke dell’oppresso, declinata poi nei confini lumpen del ‘povero’ tout court, i villani di turno diventano Taiwan, Ucraina e, soprattutto Israele, in un giuoco che avrebbe sorpreso tutti fuorché Popper.
Sull’onda del paradosso a governare le nostre sorti, troviamo da noi il sorgere e moltiplicarsi dei centri, tavoli, dottorati, tutti variamente intestati alla pace. Tutto questo si inserisce in un inconscio collettivo junghiano, che rimanda agli incontri – scontri fra Chiesa e comunismo, ai tempi della guerra di Corea, quando il PCI sosteneva le ragioni di quello che è poi diventato l’incubo dinastico di Kim Jong – Un (vedi, Renato Moro, The Catholic Church, Italian Catholics and Peace Movements: The Cold War Years, 1947-1962, Contemporary European History, vol. 17, no. 3, 2008).
Questa realtà che si affaccia sempre con maggior forza allo scenario attuale, non è che l’esito della trappola mortale di Gaza, dove il ritiro israeliano del 2005 anziché calmare le acque divenne l’inizio di un incendio che culmina il sette ottobre 2023, che il Capo dello Stato Sergio Mattarella qualificò a stregua di “Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah” (26 gennaio 2024, II Mandato).
Intendiamoci: la proposta di un discorso di pace, in tesi, è quanto basta per guadagnarsi il cielo senza scorciatoie. Sennonché, dovrebbe destare qualche interesse che la pace possa diventare una professione, con tanto di robusto background, della quale è parte inscindibile e immancabile una conoscenza così solida sulle malefatte di Israele, da escludere qualsiasi altra considerazione. L’Italia, anche senza dottorati, è diventata campo fertile per chi estrapola tali malefatte – vere o, preferibilmente, presunte – fornendo un quadro falsato della realtà. Il metodo è sempre lo stesso negli anni, e corrisponde, all’incirca, al periodo stalinista: si menzionano degli episodi che suscitano indignazione, i quali da soli costituiscono il quadro dato in pasto al pubblico. Spariscono dallo scenario la natura terroristica di Hamas, il suo scopo dichiarato di uccidere gli ebrei, la sua natura reazionaria, teocratica e omofoba, la quantità infinita di razzi lanciati su Israele, gli stupri di massa documentati da ultimo da Human Rights Watch, la paranoica costruzione di oltre seicento km. di tunnel, e così via. In questo contesto, la contemporanea creazione di iniziative per la pace inscindibilmente corredata dalla presenza ben visibile di ‘pacifisti’ intenti a rompere rapporti con Israele e a promuoverne il boicottaggio, che è un atto di guerra, dovrebbe essere sufficiente ad attirare l’attenzione. Non possiamo rifare la strada di quel risalente pacifismo pro- coreano, che ha sulla coscienza la realtà mostruosa della dinastia disumana che ora governa la Corea del Nord. Alcuni di questi enti pacifisti che sorgono come funghi negli atenei italiani e nei prestigiosi centri di ricerca, si guardano bene dall’avvicinare le parti, promuovendo degli incontri, ma spesso diventano la sede deputata al rilancio infinito di accuse contro Israele, divenuto a quel punto l’ebreo-paria fra le nazioni. Non è serio invocare la pace coniugandola con un odio infinito verso Israele, chiamando a testimoniare sotto forma virtuale gli ebrei che hanno in antipatia Israele: non si può perché è un classico privo di qualsiasi serietà scientifica, sul quale c’è un’infinita letteratura, a partire da Theodor Lessing.
Massimo Turchetta (Corriere della Sera, 6 settembre 2024, p. 21): “Non fare i conti con la nostra parte oscura porta al politicamente corretto“. Dichiararsi pacifista (ma pure dichiararsi di sinistra) sbilancia l’interlocutore, il quale fa sentire luminoso (e non oscuro) il dichiarante. A livello inconscio, giusto perché l’inconscio non è in alcun modo giudicabile) è un ricatto morale. Non a caso “Il Manifesto” si dice “dalla parte del torto”, ma giammai da quella dell’oscuro o del male. Se non sei pacifista, sei guerrafondaio, aggressivo e, di conseguenza, malvagio. Sennonché, se ci si spostasse dalla parte della scienza, sarebbe da domandarsi quale senso possano avere i “peace studies”: non conducono, i dottorati sulla pace, ad alcuna attività d’interesse per il mercato. Lo stesso non è a dirsi per la filosofia: Sergio Marchionne, il miglior manager che abbia avuto il gruppo Fiat, era laureato in filosofia, perché la filosofia aiuta a ragionare, mentre gli studi sulla pace hanno un retroterra strumentale, appena si pensi al vasto uso che ne fece Stalin. Che senso ha impegnare vastissime risorse nello studio della pace se si è consapevoli che non sarà questo il mezzo per addivenire alla pace? Piuttosto, vi sarebbe un’eterogenesi dei fini, alquanto forzata, che premierebbe tutta la filiera dei pacifisti.
A questo proposito, sarebbe opportuno rivedere la democratic peace theory, alla luce dei conflitti mediorientali.
Parimenti, l’Italia non può al contempo deplorare in ogni sede le leggi razziali e promuovere un trattamento di Israele che riduca lo Stato ebraico allo status di una persona giuridica che viene trattata, all’ingrosso, come sul finire degli anni Trenta, venivano trattate le persone fisiche di etnia ebraica. Il PD, a suo tempo, dichiarò che era infondata l’accusa di apartheid, però molti esponenti del pacifismo ripetono senza posa questa accusa infamante al punto di aver persuaso la nostra popolazione che gli arabi israeliani siano trattati come Mandela sotto il regime razzista. Se dovessimo respingere tutte le accuse contro Israele, avremmo costruito una nozione di infinito che i fisici ancora si limitano a vagheggiare. Farebbe bene il Ministro competente, Giuseppe Valditara, a valutare se questo brulicare di centri per la pace promuova incontri fra il governo israeliano ed i rappresentanti legittimi del popolo palestinese, oppure se si limiti a promuovere l’odio verso Israele con relativi boicottaggi et similia. Ad esempio, se facesse fare, il ministro, una buona ricerca, potrebbe trovare che una di queste iniziative aveva già fissato le frontiere, al posto delle parti della contesa. Ricordiamoci che anche il fascismo fu una continua commedia: ma com’è finita? Con 500 mila internati in Germania, con l’occupazione nazista, l’uccisione di Cefalonia, lo sterminio degli ebrei, gli stupri delle donne. Romani, siate seri! intimò una volta Garibaldi. Appunto.
Pubblicato in prima versione su Moked il 5 agosto 2024