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SPUNTI PER ACCAMPATI E NON

Mass media

Napoleone credeva che “tre giornali ostili siano da temere più di mille baionette’ e di conseguenza chiuse 64 dei 73 giornali francesi nel 1800. Il suo sistema di censura sarebbe riuscito laddove quello di Luigi XIV aveva fallito[1]

Quando si tratta di cercare delle definizioni, troviamo che “I social media facilitano la diffusione di una narrazione al di fuori di un particolare gruppo sociale di veri credenti che guidano la tendenza. Dipende da quattro fattori: (1) un messaggio che si adatta a una narrazione esistente, anche se oscura; (2) un gruppo di veri credenti predisposto al messaggio; (3) un team relativamente piccolo di agenti o cyber guerrieri; e (4) una rete di account “bot” automatizzati”[2]

Si è detto anche che “i social media sono uno strumento efficace da utilizzare per radicalizzare e reclutare membri in una causa. È sempre lì ogni volta che c’è l’utente. Attira i suoi utenti con una promessa di amicizia, accettazione o senso di scopo. È una dipendenza per la metà dei suoi utenti [3].”

Questo è un versante, quello dell’influenza dei social media, ma il fanatismo esisteva dapprima, in qualche modo si può dire che è sempre esistito.

Relativismo e responsabilità

Poco prima, Allan Bloom[4], nella sua critica al sistema universitario americano, mise in luce il relativismo di cui era permeato, che portava a negare l’esistenza di valori universali. Nella prefazione, Saul Bellow fa riferimento al passaggio dal movimento dei neri per i diritti civili, al Black Power. Nel primo, si puntava all’eguaglianza, mentre nel secondo se ne faceva una questione di solo potere.

Di recente, Anthony T. Kronman, già Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Yale, denuncia l’attacco all’eccellenza[5] e rivendica un principio ‘aristocratico’; richiama Alexis di Tocqueville, il quale ne La democrazia in America, lascia uno spazio per la critica a ciò che chiama ‘tirannide della maggioranza’[6], ossia, al peso, che ritiene eccessivo, dell’opinione pubblica, a scapito del pensiero indipendente. Inoltre, con Tocqueville si pone il problema della mancata considerazione della grandezza[7], per la via traversa del mancato riconoscimento[8].

Tom Mc Tague scrive un articolo dal titolo: “Israele è intrappolata dalla colpa occidentale; le ossessioni coloniali stanno minando la sicurezza degli ebrei[9]. Le radici sono risalenti.

Claude Lévi – Strauss si era abbandonato a una mesta litania: “Si è detto talvolta che la società occidentale è l’unica ad aver prodotto etnografi; che questa era la sua grandezza e, in assenza delle altre superiorità che contestano, l’unica che li obbliga a inchinarsi davanti ad essa poiché, senza di essa, non esisterebbero. Potremmo anche sostenere il contrario: se l’Occidente ha prodotto etnografi, è perché un rimorso molto potente deve averlo tormentato, costringendolo a confrontare la sua immagine con quella di società diverse nella speranza che queste riflettano gli stessi difetti o lo aiutino lui per spiegare come le sue si siano sviluppate nel suo grembo. Ma, anche se è vero che il confronto della nostra società con tutte le altre, contemporanee o estinte, provoca il crollo delle sue fondamenta, altre subiranno la stessa sorte. Questa media generale di cui ho parlato prima evidenzia alcuni orchi: si scopre che noi siamo tra questi; non a caso, perché, se non fossimo stati noi e non avessimo meritato, in questa triste competizione, il primo posto, l’etnografia non sarebbe apparsa tra noi: non ne avremmo sentito il bisogno. L’etnografo può tanto meno disinteressarsi della sua civiltà e dissociarsi dalle sue colpe poiché la sua stessa esistenza è incomprensibile, se non come tentativo di redenzione: è il simbolo dell’espiazione[10] (Tristes Tropiques, Paris, 1955, p. 456).

André Reszler considera l’antieuropeismo come un elemento costitutivo del pensiero europeo[11]; discorre dei ruoli che le civiltà distribuiscono per prendere coscienza della loro particolarità il che implica la presenza alle loro frontiere di una barbaria amorfa e ostile. La sostituzione della cattiva coscienza alla coscienza tout court, per Reszler non può che operare al prezzo di una scomparsa progressiva o brutale di tali frontiere[12]; tale antieuropeismo intellettuale sarebbe erede del mito del buon selvaggio e del primitivismo culturale della Belle Époque[13] (p. 377) e, a tale riguardo, ricorda come, per Lévi – Strauss, lo sviluppo dell’Occidente sarebbe stato una iattura per i popoli dell’Amazzonia.

In materia, Pascal Bruckner ebbe a pubblicare un volume sui sensi di colpa dell’Occidente [14]. L’antioccidentalismo, per Bruckner, porta al relativismo, come dire che i valori di libertà e democrazia varrebbero soltanto per alcuni popoli. Ciò è sia razzista – soggiungiamo – che pericoloso, in quanto una società democratica è meno portata a scatenare le guerre di una società tirannica. Se gli Stati mediorientali fossero delle democrazie, sarebbe altamente improbabile che si producano in iniziative belliche.  Bruckner scrive: “proprio come l’idea comunista ritrova la seduzione mentre svanisce il ricordo dell’URSS, il terzomondismo rifiorisce sull’oblio del maoismo, dei Khmer rossi, delle guerriglie sudamericane. È proprio il fallimento di queste utopie concrete che spiega il risorgere della dottrina, improvvisamente liberata dalla prova della realtà. Le ideologie non muoiono mai, subiscono una metamorfosi e rinascono sotto una nuova apparenza quando pensavamo fossero sepolte per sempre”; infatti, non si spiegherebbe altrimenti la trasformazione del marxismo in woke e la contiguità degli ex comunisti ai populisti. Sempre per Bruckner “Cuore di tenebra da mezzo secolo, non è più l’epopea coloniale, è l’Africa indipendente, “questo cocktail di disastri” come lo descrisse modestamente Kofi Annan nel 2001: il regno omicida del Negus Rosso, Menghistu, le macabre buffonate di Amin Dada, Sekou Touré o Bokassa, la follia di Samuel Doe e Charles Taylor in Liberia, i diamanti insanguinati di Foday Sankho in Sierra Leone, inventore della mutilazione “manica corta”, al gomito, e “manica lunga”, al la spalla, l’utilizzo di bambini soldato, bambini assassini, picchiati, drogati, campi di detenzione, stupri collettivi senza dimenticare il conflitto infinito tra Etiopia ed Eritrea, le guerre civili in Ciad, Sudan, Somalia, Uganda, Costa d’Avorio, le pratiche cannibalistiche in Congo , i crimini contro l’umanità in Darfur e, ultimo ma non meno importante, il genocidio in Ruanda e la guerra dei Grandi Laghi con i suoi tre-quattro milioni di vittime dal 1998. La decolonizzazione è stata un grande processo di uguaglianza democratica. Gli schiavi di ieri sono saliti in pochi anni allo stesso livello di bestialità dei loro antichi padroni”. Sul conflitto arabo – israeliano, scrive che “attraverso la loro copertura manichea, i media hanno reso l’atmosfera irrespirabile agli ebrei e si assumono la responsabilità schiacciante del sentimento di inquietudine che hanno subìto negli ultimi anni[15]. Soggiunge che “In Europa, la questione palestinese è servita solo a rilegittimare silenziosamente l’odio verso gli ebrei.» Lo testimoniano ancora questi estratti di una rubrica intitolata “Israele, il cancro” e firmata da Edgar Morin, Sami Naïr e Danièle Sallenave: “Gli ebrei umiliati, disprezzati, perseguitati umiliarono, disprezzarono, perseguitarono i palestinesi. Gli ebrei vittime di un ordine spietato impongono il loro ordine spietato ai palestinesi. Gli ebrei, vittime della disumanità, mostrano una terribile disumanità (…) il popolo eletto si comporta come la razza superiore[16]».

Infine: “Non sorprende che le prime nazioni che hanno abolito la schiavitù, dopo averne ampiamente tratto profitto, siano anche le uniche ad essere oggetto di accuse e richieste di risarcimenti? In altre parole, il crimine viene attribuito solo a chi se ne è pentito – l’Europa e gli Stati Uniti, che per questa causa hanno perso anche un milione dei loro figli nella Guerra Civile – e che hanno teorizzato questo commercio umano come una barbarie. La legge Taubira del 21 maggio 2002, che mira a definire come crimine contro l’umanità solo la tratta occidentale, contribuisce a questa lettura parziale del fenomeno. Perché l’Occidente viene incolpato e solo lui quando il mondo orientale e africano, che non se ne è mai pentito pubblicamente, è esonerato da ogni incriminazione? Perché il primo è ricco e sensibile agli argomenti moraliÈ stato l’Occidente e solo lui a sviluppare l’idea abolizionista prima di diffonderla nell’Africa nera e in Oriente”[17].

Il pensiero Woke

 La guerra moderna è cambiata, e non di poco. Alle tre armate tradizionali dallo scorso secolo fino ad ora, quelle dell’Esercito, Marina e Aviazione, corrispondenti a terra, mare e aria, si è aggiunta quella – potentissima – dell’opinione pubblica, che alberga nella mente umana.

Il potere dell’opinione pubblica è stato anticipato in modo avveniristico in uno studio che faceva dipendere dai sondaggi la permanenza al potere, nei dicasteri o in Parlamento[18]; avveniristico perché in Italia il termine costituzionale della legislatura è scandito oggi giorno dai sondaggi, che potrebbero allungare o restringere tale termine, al punto che i governi sono condizionati giorno per giorno, senza poter programmare alcunché nel lungo periodo.

Un efficace esempio dell’incidenza dell’opinione pubblica lo troviamo nell’aprile 1961, quando il presidente americano John F. Kennedy predispose una forza formata da esuli cubani, perché invadesse Cuba e rovesciasse il regime comunista di Fidel Castro. Kennedy non solo si affidò agli esuli cubani, rinunciando a far intervenire le forze armate statunitensi per non irritare l’opinione pubblica, ma addirittura ridimensionò le forze in campo, esponendole a una dura e vergognosa sconfitta in Bahía Cochinos (Baia dei Porci)[19]. L’Unione Sovietica, in Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968) ma già col patto Ribbentrop – Molotov del 1939, non si curò mai dell’opinione pubblica, sia perché in una dittatura il solo fatto di opinare comporta il carcere o la morte[20], sia perché fuori dalle sue frontiere i comunisti sono stati sempre disposti a credere ciecamente senza esitare, per via di meccanismi psicologici basati su una teleologia implacabilmente salvifica. Questo congegno è rimasto quasi invariato nel tempo, la sola differenza è che si è passati dall’efferatezza nei riguardi dell’avversario alla confortevole sensazione di essere dalla parte del bene.

Un insigne studioso dell’opinione pubblica come Walter Lippmann ebbe ad elaborare due tesi in materia[21]. La prima stabilisce che “Senza una qualche forma di censura, la propaganda nel senso stretto del termine è impossibile. Per condurre una propaganda deve esserci una barriera tra il pubblico e l’evento. L’accesso all’ambiente reale deve essere limitato, prima che qualcuno possa creare uno pseudo-ambiente che ritiene saggio o desiderabile. Infatti, mentre le persone che hanno accesso diretto possono fraintendere ciò che vedono, nessun altro può decidere come fraintenderlo, a meno che non possa decidere dove guardare e cosa. La censura militare è la forma di barriera più semplice, ma non certo la più importante, perché si sa che esiste, e quindi in una certa misura è accettata e scontata[22].  Nel caso di Israele, interviene più che mai il ‘tormentone’: “non ci vogliono far sapere”, che conferisce al portatore di notizie false l’aureola del sapere iniziatico, nella versione volgare di ‘colui al quale non la danno da bere’. In genere, si tratta di professori di liceo che diventano youtubers, con lezioni improbabili, talvolta direttamente menzognere, sul Medio Oriente.

La seconda tesi di Lippmann riguarda gli stereotipi, laddove Aristotele distingueva gli schiavi dagli uomini liberi, in quanto i primi erano nati per servire. Sennonché, quando si fanno dei prigionieri, si entra in possesso di una massa indistinta di soggetti, i quali non potrebbero certamente essere accomunati da una tendenza al servilismo, il che non impediva che dello schiavo si avesse il già citato stereotipo[23]. Nel caso degli ebrei, vi è lo stereotipo dell’avarizia/ingordigia, mentre in quello dell’israeliano vi è quello dello spietato ladro di terre[24]. Poiché Israele sarebbe stata sottratta agli arabi, e dai Paesi arabi gli ebrei sono stati espulsi, ne risulta per l’ebreo l’impossibilità di mettere i piedi in terra in Medio Oriente. Con quel criterio, l’America andrebbe svuotata, lasciandovi soltanto gli indigeni, ammesso che nessuno di loro si sia mischiato con gli ‘invasori’ europei: un caso di scuola di apagoge, con quanto ne deriva in termini di rincorsa all’assurdità. Potremmo reperire la risposta in Habermas, laddove stabilisce che “La razionalizzazione a livello del quadro istituzionale può avvenire solo nel mezzo dell’interazione simbolica stessa, cioè rimuovendo le restrizioni alla comunicazione”[25].  Le restrizioni alla comunicazione sono presto dette; basta osservare che, in Italia, accade che lo stesso autore, quando si esprime su argomenti asettici, sia ospitato da editori di grande importanza, mentre quando decide di pubblicare opere che trattino di Israele e sionismo, finisca invariabilmente per pubblicare con editori sconosciuti o comunque esterni ai grandi circuiti di diffusione del libro.

Il post marxismo, frammento sfilacciato del postmodernismo, ha segnato il passaggio dall’opzione binaria borghesia – proletariato a quella, del tutto anfibologica, fra oppressori e oppressi. Il primo binomio faceva capo ai rapporti di produzione mentre il secondo fa capo al solo potere. Nel caso di Israele, a fronte di una popolazione ebraica di sette milioni cinquecento mila ebrei, nel mondo vi sono 49 Stati a maggioranza islamica, e un totale di quasi due miliardi di islamici nel mondo. Sostenere che Israele detenga il potere, a fronte di un mondo islamico povero e debole diventa davvero problematico, eppure costituisce la doxa, mentre l’epistème diventa un marchio d’infamia, tale da renderla estranea al mondo accademico, che firma manifesto su manifesto per cancellare le università israeliane dalla faccia della terra scientifica. Lo si chiami movimento woke oppure cancel culture, o politically correctness, il comun denominatore è costituito da una carica di violenza e intolleranza che ricorda alcune esperienze totalitarie, non certo di sinistra. Al posto della condizione proletaria, è emersa la malapianta del pauperismo, il quale ha, non certo in buona fede, trascurato se non addirittura oscurato gli insegnamenti di Karl Marx sul sottoproletariato (lumpenproletariat). Nel Manifesto del Partito Comunista, Karl Marx e Friedrich Engels non furono indulgenti (et pour cause): “Quanto al sottoproletariato, che rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società, esso viene qua e là gettato nel movimento da una rivoluzione proletaria; ma per le sue stesse condizioni di vita esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettere al servizio di mene reazionarie”. L’itinerario da “putrefazione passiva” ad avanguardia salvifica è lo stesso che separa la modernità dalla postmodernità, laddove la prima vantava buoni propositi, quando Engels qualifica il marxismo a stregua di socialismo scientifico, mentre il movimento woke se ne guarda bene, perché naviga nelle procellose acque dell’indimostrabilità. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante, perché segna la cesura fra la demonologia woke e la precedente ricerca della razionalità. In questo caso, sarebbe sufficiente ricorrere alla tesi di Popper per cui la scientificità di un’affermazione è in funzione della sua falsificabilità[26]. Se asserisco che Gaza è un carcere a cielo aperto con lo Stato ebraico come carceriere, questa tesi non può essere falsificata, perché un carcere non può avere una porta teoricamente spalancata, costituita dalla frontiera con l’Egitto, e quindi tale ‘opinione’ non è scientifica, perché non può essere falsificata. In questi casi, soccorre il potere dell’opinione pubblica, che oscilla fra ignoranza inevitabile e ignoranza voluta, un’opinione pubblica resa particolarmente solida dalla sua rinuncia alla dimostrabilità.

La teoria critica affronta, giustamente, lo studio delle strutture socioeconomiche, per affondare, in seguito, appena scorge che la stessa struttura può sostenere sia una società liberale che una società nazifascista[27]. Sennonché, il fatto che il pregiudizio antisemita alligni in un determinato corpus sociale, non comporta delle risposte univoche e può dar luogo sia a sistemi liberali che illiberali, nelle sue diverse declinazioni. Cosa resta, quindi, delle sue fortune, se non l’aver messo a fuoco la struttura, che noi però possiamo spogliare da quelle conclusioni meccanicistiche che portarono intere generazioni ad un’inquietante indulgenza verso le dittature.

Accampamenti universitari e campeggi ideologici 

Il 7 ottobre 2023, col conseguente massacro in stile mediorientale degli ebrei israeliani, con stupri, mutilazioni, violenze sadiche, nella sua apparente illogicità al di fuori della mera brutalità, lo si capisce senza scarti laddove si sia consapevoli che un’opera ultraventennale di diffamazione di Israele e degli ebrei era la conditio sine qua non per assicurare al terrorismo palestinese che ogni sua azione, anche quella più efferata, sarebbe stata applaudita a scena aperta dall’Occidente.

Riavvolgendo un nastro immaginario e arrestandolo al 1937, troviamo che il leader arabo, Auni Bey Abdul Hadi, disse alla Commissione britannica Peel: “Non esiste un paese chiamato Palestina. Palestina è un termine inventato dai sionisti. La Palestina ci è estranea. La nostra terra è stata per centinaia di anni parte della Siria[28].  Siamo nell’ambito del cherry picking?[29] Per esempio, ciò è stato fatto per sostenere che Teodoro Herzl odiava gli arabi, che Albert Einstein era antisionista e che Marx era filoebraico[30].  Quando abbiamo collaborato a rubriche su quotidiani, notavamo che i lettori, nelle loro risposte sul web della testata in questione, si basavano su determinate affermazioni, invariabilmente parziali oppure infelici, per attribuire loro il significato di una confessione in sede giudiziale. È un metodo diffuso. Ciò non significa che chi ne fa uso manchi d’onestà, ma piuttosto che si avvicini al confirmation bias, dove si privilegia la ricerca delle tesi che confermino i propri pregiudizi. Per queste ragioni non troviamo dirimente il ricorso, ormai frequente, alle anzidette parole di Hadi, ma riteniamo invece rilevante la mancata rivendicazione di ogni autonomia (visto che di indipendenza non era nemmeno a parlarne) per gli arabi abitanti nei territori della c.d. Palestina mandataria.

Vi è anche l’Appeal to Authority[31], dove troviamo un valido paradigma nelle parole di Carlo Smuraglia, compianto Presidente ANPI: “il Governo israeliano ha deciso di destinare una quantità di case nuove ai coloni proprio in zone oggetto di discussione e di contesa. Non è così che si favorisce la pace e la convivenza civile. Non lo diciamo noi, ma lo dicono anche famosi scrittori israeliani, lo ha detto, con chiarezza, anche alla Knesset, un grande musicista come Barenboim. Credo dunque che lo si possa dire, non per infierire, ma per confidare nella ragionevolezza; e se escono documentari o scritti che dimostrano in quali terribili condizioni si viva in Palestina, questo non è, non può essere censurabile, perché corrisponde a verità[32]. Perché un’opinione dovrebbe essere valida se la sostiene Daniel Barenboim? Perché “è un grande musicista”? In questo caso (perché “è un grande musicista”) dovremmo aderire anche alle idee di Richard Wagner il quale, se non erro, non era un musicista di statura inferiore a Barenboim? Vogliamo disquisire anche di Herbert von Karajan? Wagner scrisse un libriccino edificante dal titolo “Das Judenthum in der Musik” mentre von Karajan ebbe a cimentarsi nell’Anschluss Sonate. Essere un grande musicista non attribuisce una patente d’autorevolezza politica: la si può avere o meno anche se si suona nella banda del paese e finanche se si è stonati come campane oppure se si è sistematicamente abbonati alle stecche.

Quanto all’ormai globale protesta contro Israele, altro di non sembra che una mera espressione della ciclica insofferenza nei riguardi delle radici delle religioni monoteistiche che, a rigore, dovrebbero essere state recise dal tempo, ma continuano ad essere sempre più robuste e vitali. Insediatosi l’ebraismo statale in un’area minuscola, riesce a produrre i nuovi miracoli, rispetto a quelli biblici: una democrazia in una zona di tirannide, pieno sviluppo, in una zona arretrata, convivenza fra ebrei e arabi, mai riuscita altrove, Premi Nobel a profusione, successo in ogni disciplina. Tutto ciò, a dimostrazione che l’ebraismo, la religione ebraica, non è come dice Sergio Romano “«il catechismo fossile di una delle più antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai praticate in Occidente». Che guaio, per tutti, che sia vero il contrario.  Sono decenni che si tenta di intrappolare Israele e gli ebrei, per poter finalmente tirar fuori quell’odio che era rimasto malamente represso, senza ricadere nei furori della legge. Perfino l’antisemitismo è stato riabilitato.

 [1]Philip M. Taylor, Munitions of the mind, A history of propaganda from the ancient world to the present era, Manchester University Press, UK, 2003, p. 154.

[2] Jarred Prier, Commanding the Trend: social media as Information Warfare, Strategic Studies Quarterly, vol. 11, no. 4, 2017, p. 52.

[3] Robin Thompson, Radicalization and the Use of social media, Journal of Strategic Security, vol. 4, no. 4, 2011, p. 168.

[4] Allan Bloom, The closing of the American mind, Foreword by Saul Bellow, Simon & Schuster, N.Y., 1987.

[5] Anthony T. Kronman, The assault on American excellence, Free Press, N.Y., 2019, passim.

[6]Cos’è allora una maggioranza presa collettivamente, se non un individuo che ha delle opinioni?

e molto spesso interessi contrari a un altro individuo chiamato minoranza” (Tocqueville, DA, II, VII).

[7] “È quindi soprattutto nei tempi democratici in cui troviamo che i veri amici della libertà e la grandezza umana devono costantemente alzarsi e pronte a impedire che il potere sociale non sacrifichi minimamente i diritti particolari di pochi individui per favorire l’esecuzione generale dei loro progetti” (Tocqueville, D.A., IV, IV, VII).

[8] “..Tocqueville e Nietzsche condividono la preoccupazione per la tendenza alla mediocrità e la perdita della grandezza umana nella moderna democrazia”(Paul Franco, Tocqueville and Nietzsche on the Problem of Human Greatness, Democracy, The Review of Politics, vol. 76, no. 3, 2014, p. 440).

[9] Unherd, 20 Ottobre 2023.

[10] Tristes Tropiques, Plon, Paris, 1955, p. 456.

[11] André Reszler, L’anti-Européanisme Intellectuel, Relations Internationales, no. 8, 1976, p. 362.

[12] Reszler, L’anti-Européanisme Intellectuel, p. 363.

[13] Reszler, L’anti-Européanisme Intellectuel, p. 377.

[14] Pascal Bruckner, La tyrannie de la pénitence: Essai sur le masochisme occidental, Paris, Grasset, 2006 (in italiano: Guanda, 2007), p. 23 ss.

[15] Bruckner, La tyrannie de la pénitence, cit., p. 84.

[16] Bruckner, La tyrannie de la pénitence, cit., p. 88.

[17] Bruckner, La tyrannie de la pénitence, cit., p. 179.

[18]La profezia politica è pericolosa, ma se dovesse proseguire la tendenza dell’evoluzione governativa dell’ultimo decennio in entrambi i paesi anglosassoni, possiamo attendere fiduciosamente che si crei un governo forgiato dall’opinione pubblica senza l’interposizione di organi rappresentativi diversi da quello costituito da un esteso corpo di elettori” (Walter J. Shepard Public Opinion, American Journal of Sociology, vol. 15, no. 1, 1909, p. 29).

[19] “Hawkins ed Esterline scoprirono che due o tre giorni prima degli attacchi D-2 (quindi dopo le assicurazioni fatte durante l’incontro del 9 aprile), Bissell aveva dimezzato le forze d’assalto, da sedici a quelle otto che lasciarono il Nicaragua il D-2. Il presidente Kennedy, spiegò Bissell nelle sue memorie, voleva “minimizzare agli occhi dell’opinione pubblica la portata dell’invasione” imponendo maggiori limitazioni al numero di aerei utilizzati. “Mi è stato semplicemente chiesto di ridurre la scala e renderla ‘minima’. Senza mettere in dubbio la saggezza di questo ordine, Bissell lo seguì. Il presidente “ha lasciato a me il compito di determinare esattamente cosa significasse, e io ho risposto riducendo a otto i sedici aerei previsti” (Howard Jones, The Bay of Pigs, Oxford University Press, 2008, p. 78). La perdita di prestigio per gli USA fu disastrosa (Mark Haefele, John F. Kennedy, USIA, and World Public Opinion. Diplomatic History, vol. 25, no. 1, 2001 p. 77 ss..). Tuttavia, la dipendenza dall’opinione pubblica non era priva di sfumature: “Charles de Gaulle disse all’ ambasciatore USA che “gli anglosassoni erano interessati all’opinione mondiale” e chiese con palese disapprovazione cosa fosse l’opinione pubblica mondiale. De Gaulle sospettava che il concetto servisse a promuovere gli interessi degli Stati Uniti.” Anche gli americani contestarono l’interesse di Kennedy per l’opinione pubblica. Durante un incontro politico, McCloy, consigliere dell’amministrazione sul disarmo esplose: ‘Non credo nell’opinione mondiale. L’unica cosa che conta è il potere. quello che dobbiamo fare ora è dimostrare che siamo una nazione potente e non perdere tempo a inseguire il fantasma dell’opinione del mondo” (id, p. 66).

[20] Si è rilevato come sotto il nazismo non sarebbe stato ragionevole disquisire di opinione pubblica, perché mancava il secondo termine dell’equazione, ossia, il carattere pubblico (Peter Longerich, Nous ne savions pas. Les Allemands et la Solution finale 1933 – 1945 Un aveuglement assassin, Editions d’Ormesson, 2006,  p. 410 ss.).

[21]  Walter Lippmann, Public opinion, Dover Publications Inc., Mineola, N.Y., 2004, © 1922.

[22] Id., p. 23.

[23] Id., p. 53 ss. In Harriet Beecher Stowe, Uncle Tom’s Cabin, (La Capanna dello Zio Tom)

Collier Books, N.Y., 1962, p. 238 © 185, vi è la stessa distinzione fra chi è nato per comandare e

chi è nato per servire.

[24] Sostiene Judith Lazar che il meccanismo del pregiudizio è basato sul principio di generalizzazione. Un recente video che dovrebbe invocare la pace, riporta due ragazzi, il maschio con la kippà e la femmina con la keffiah; lei cade e, rivolgendosi a lui, gli domanda “perché il tuo popolo ci vuole ammazzare?”. Così, invocando la pace, si generalizza, facendo passare l’idea che tutti gli ebrei (“il tuo popolo”) non trovino niente di meglio che voler uccidere i palestinesi (L’opinion publique, Sirey/Dalloz, Paris,1995, p. 31 ss.). Probabilmente per la giurisprudenza italiana non sarebbe un atto illegittimo ma, dal punto di vista culturale, questa sarebbe un’occasione unica per fare il punto sulle alternative offerte dal video, dall’inconsapevolezza, all’eventuale ma improbabile militanza, all’emersione prepotente dell’inconscio, allineate su più strati, dalla produzione alla committenza e, infine, alla diffusione sulla testata più prestigiosa del Paese, ancorché nella sua versione locale. Forse, però, basterebbe rileggere l’iter del lapsus: “Il meccanismo dell’errore pare sia il meno rigido di tutti gli atti mancati, vale a dire il verificarsi di un errore indica in generale che l’attività mentale ha dovuto lottare con un influsso perturbatore di un certo tipo”. (Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, Boringhieri, Torino, 1988, p. 233).

[25] Jürgen Habermas, Towards a rational society, Beacon Press, Boston, 1970, p. 118 ss.

[26] Karl Popper, The logic of scientific discovery, Routledge, London, 2005, p. 57 ss.(c) 1935.

[27] Herbert Marcuse, Negations, Beacon Press, Boston, 1968, XI.

[28]  Ron Cantrell, Unholy War for an Islamic Empire, Bridges for Peace, Tulsa, 2002, p. 70; Phyllis Chesler, The New Anti – Semitism, Jossey – Bass, San Francisco, 2003, p. 232, Yvette Alt Miller, What is the meaning of Nakba? Aish, May 29, 2024.

[29]Cherry picking: scelta delle ciliegie: “Tali argomentazioni sono una forma di cherry-picking (a volte chiamato dragaggio dei dati), ovvero selezionare statistiche che supportano una particolare tesi e attirare l’attenzione su quei numeri, ignorando altre cifre che potrebbero portare a una conclusione diversa. La quantità di dati disponibili fa la differenza; quanti più numeri si possono scegliere, tanto più si è certi di trovare delle “ciliegie” potenzialmente utili, mature per la raccolta. Tutti i tipi di parti interessate possono adottare la tattica del cherry-picking” (Joel Best, Damned Lies and Statistics, University of California Press, 2004. p. 170).

[30] Vedi, per i casi di Herzl e Einstein, Emanuele Calò, La questione ebraica nella società postmoderna. Itinerari fra storia e microstoria, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2023; per il caso di Marx, vedi Manuel Disegni, Critica della questione ebraica, Karl Marx e l’antisemitismo, Boringhieri, Milano, 2024, un libro interessante, ma le cui tesi non condividiamo (vedi Calò, La questione., cit.) anche alla luce di un apparato bibliografico che sembrerebbe non soddisfacente.

[31] Douglas Walton, Appeal to Expert Opinion Arguments from Authority, The Pennsylvania State University Press, 1997. L’a. distingue fra autorità cognitive e autorità istituzionale (p. 250) senza arrivare ad ipotizzare che un musicista eccelso possa diventare una di queste predette autorità, a dimostrazione che l’evoluzione e il passaggio del tempo non precludono le ferite alla logica.

[32] ANPI NEWS n. 238 – 14/21 marzo 2017.