Ogni tanto si affaccia la proposta di riconoscere lo Stato di Palestina. Al di là delle diverse e legittime prese di posizione, sarebbe da domandarsi:
- quali ne siano i confini;
- quali siano i tre poteri (governo, Parlamento e giustizia) e quali garanzie di equidistanza vi siano;
- se intenda la Palestina mantenere il principio per il quale sarebbe retta legalmente dalla Sharia;
- se intenda la Palestina mantenere il principio per cui si tratta di uno Stato arabo, nel qual caso non si vede perché Israele non debba esservi speculare, ancorché a chi scrive la soluzione non appaia priva di controindicazioni;
- se la Palestina debba nascere come una dittatura corrotta oppure come a) una democrazia b) che non depredi i propri cittadini ;
- se non rischi di diventare una legittimazione di Hamas, manovrata da Teheran;
- se possa riconoscersi l’indipendenza se non riconosce Israele, perché si suppone che si riconosca la Palestina per porre fine al conflitto e non per ravvivarlo. Beninteso, il problema è ben più complesso. Per l’intanto, resterebbe da dire che una decisione assunta ex abrupto, senza alcuna serietà, sull’impeto del momento, senza alcun approfondimento, appaia come foriera di futuri disastri, e getta una luce sinistra sul profilo tecnico dei governanti che propongono il riconoscimento. Dietro a queste intenzioni, vi è una mancanza di rispetto per gli arabi, visti come soggetti da manipolare oppure (peggio) così poco degni di considerazione da non riconoscere loro il diritto ad un dialogo e ad un confronto sulla statualità. Non è benevolenza, è carità pelosa e disprezzo.