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LA QUESTIONE EBRAICA XXXV. La soluzione finale

LA QUESTIONE EBRAICA XXXV. La soluzione finale.

 

Nella scorsa puntata del nostro commento al libro di Emanuele Calò La questione ebraica nella società postmoderna, a proposito del marxismo, abbiamo accennato a un’operetta giovanile del filosofo, che abbiamo definito “un libello ripugnante, che appartiene di diritto al peggio del peggio della letteratura antisemita di tutti i tempi”.

Credo che i lettori abbiano compreso che il riferimento è al testo al breve scritto intitolato Zur Judenfrage, tradotto in italiano La questione ebraica (non a caso, proprio la prima parte del titolo di Calò), scritto nel 1843 e pubblicato per la prima volta a Parigi, nel quale il giovane pensatore, allora venticinquenne, polemizza con due testi di Bruno Bauer, dedicati al tema, allora molto discusso, della cd. “emancipazione” ebraica.

La questione, oggetto di dibattito, era se e come occorresse contribuire alla cd. ‘emancipazione’ degli ebrei, ossia alla concessione a loro di tutti i diritti spettanti agli altri cittadini. Un problema, evidentemente, strettamente connesso a quello più generale dell’eguaglianza davanti alla legge di tutti gli uomini, con la garanzia per tutti di una completa libertà di fede e di pensiero e la fine dell’intromissione del potere ecclesiastico nella società civile.

La posizione del giovane pensatore al riguardo, sintetizzata da Calò, è molto chiara: non esiste nessuna esigenza di emancipazione dell’ebraismo, perché l’ebraismo stesso deve scomparire, per cui “l’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo”. Una vera e propria “soluzione finale”, sia pure da realizzare con metodi diversi da quelli pensati (e attuati), un secolo dopo, da Hitler.

Intendiamoci, l’idea che l’ebraismo dovesse scomparire, attraverso la cristianizzazione di tutti gli ebrei, sarebbe stata occasionalmente pensata, in seguito, e poi abbandonata, in contesti particolari, anche da personaggi come Theodor Herzl e Benedetto Croce. Ma quel che colpisce, nel libello del filosofo, è la visione profondamente distorta, caricaturale, intrisa dei peggiori pregiudizi antigiudaici, che viene data dell’ebraismo: “Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene, l’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo”.

E ancora: “Un’organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società”.

D’altronde, prosegue il fanatico e idiota genio, “L’ebreo si è già emancipato in modo giudaico… L’ebreo che, nel più piccolo stato tedesco, può essere privo di diritti, decide delle sorti dell’Europa… L’ebreo si è emancipato in modo giudaico non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui è diventato una potenza mondiale, è lo spirito pratico dell’ebreo, lo spirito partico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei”, e via delirando.

Questo era, per Marx, l’ebraismo. Del Qohelet, del Cantico dei Cantici, del libro di Giobbe, di Maimonide e altre cose del genere non gli interessava nulla. Non era questo il “vero” ebraismo, servitore del Dio denaro.

A casa conservo ancora gelosamente il disgustoso libretto, e ricordo bene che non l’ho mai comprato, perché veniva distribuito gratuitamente, in migliaia di copie, sui banchi dei Festival dell’Unità, probabilmente con i soldi dell’Unione Sovietica.

Anch’io approfittai dell’occasione. Non me ne pento, perché avevo già qualche metro di giudizio autonomo, e mi sono fatto un preciso giudizio del pensatore, che non ho cambiato. Ma innumerevoli menti di persone sono state intossicate e avvelenate, in nome della radiosa visione del mondo futuro. Una responsabilità pesantissima che graverà per sempre sul nome del genio ottuso e malefico.

 

Francesco Lucrezi, storico

 

(continua)