Il 7 ottobre svela le ipocrisie del 27 gennaio
Buongiorno.
Buon Giorno della Memoria.
Ricorre ancora una volta l’ardua commemorazione. Anche a scuola.
Gli istituti scolastici hanno ricevuto le consuete sollecitazioni al proposito. Sarebbe dovere di tutti fare in modo che la circostanza non si esaurisse nella vuota routine, come una formalità edificante con cui levarsi un pensiero o, peggio, con cui piangere gli ebrei morti di ieri per sentirsi liberi di maledire meglio quelli ancora in vita oggi, o anche quelli comunque assassinati, pur sempre in quanto ebrei, ma solo dopo il 27 gennaio 1945.
In questa occasione, stando ai documenti ufficiali, “trovano il loro momento più rappresentativo” i vari interventi realizzati dal Ministero dell’istruzione per il contrasto all’antisemitismo. E pochi anni fa, in tale ambito, emerse anche l’esigenza delle Linee Guida per il contrasto all’antisemitismo, che opportunamente stigmatizzano, tra le “forme dell’antisemitismo contemporaneo”, l’Odio verso lo Stato di Israele.
Con sgomento, dopo il 7 ottobre scorso, si è dovuto prendere atto che lo sterminio degli ebrei crea sì compassione ma per gli stragisti. Riaccende l’antisemitismo, ovunque. Anche a scuola.
Il Ministero è subito doverosamente intervenuto a denunciare gli episodi di scoperto fiancheggiamento del terrorismo svoltisi in alcuni istituti. Restano tuttavia inevasi interrogativi circa la continua campagna contro Israele diffusa nelle scuole in forme diverse e ben più insidiose.
Se la libertà di opinione, di espressione e di insegnamento è sacra, non lo è certo la licenza di propalare la menzogna, il pregiudizio, l’intolleranza. Neanche a scuola. Almeno a scuola l’ignoranza non deve essere un’attenuante ma un’aggravante.
Di seguito alcuni casi riscontrati personalmente, piccoli ma forse proprio per questo emblematici.
La scuola è iniziata da poche settimane quando si sparge la notizia dell’orrore, ma non ne viene scossa in alcun modo. Pochi giorni dopo alla posta elettronica istituzionale giunge una violenta invettiva, chi la firmata risulterà poi essere una ex alunna, evidentemente da altri istigata.
Recrimina quelli che considera silenzi e connivenze della scuola. Per sopperire rinvia alla propaganda on line
Contro Israele, sia chiaro: nega il suo diritto all’autodifesa (“Israele insieme all’Ucraina! Ipocrisia!”), ne sostiene l’illegittimità (“Un giorno l’Inghilterra, senza alcun diritto, decise di costruire su TERRITORIO PALESTINESE la nazione israeliana”) e la demonizzazione (“apartheid”, “brutalità del regime israeliano”, “terrorismo israeliano”).
Condanna la presunta persecuzione dei palestinesi (“una popolazione che ogni giorno piano piano sparisce”, “i massacri e i genocidi che stanno accadendo in Palestina”, “Israele ha dichiarato LA RASA AL SUOLO DI GAZA”, “bombardando, usando fosforo bianco, città densamente abitate”). Palestinesi che sarebbero invece un popolo inoffensivo e aggredito (“reagisce agli spari e alle bombe con sassi e sorrisi”, “abbiamo uomini disarmati”).
Difende Hamas, come liberatore (“I partigiani quando si sono ribellati hanno usato pistole d’acqua o come hanno reagito?”). Giustifica anche la compiaciuta violenza stragista, come una comprensibile reazione (“Se guardate solo il finale… a partire dell’attacco dell’Hamas, è ovvio che non potete giudicare. Hamas rappresenta una piccola parte della popolazione Palestinese, la parte che ha deciso di ribellarsi”).
Tramite la piattaforma istituzionale il delirante testo ha raggiunto le caselle e-mail di tutti i docenti e gli studenti dell’istituto. Dalla scuola, nella persuasione sia meglio far finta di nulla e non dare eccessivo rilievo, nessuna spiegazione, nessuna condanna, nessuna seppur minima presa di distanza.
Tra fine ottobre e inizio novembre l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) ha proposto a tutte le scuole superiori un paio di incontri on line per “Capire il conflitto in Medio Oriente”.
I relatori promettono subito accuratezza storica, pluralismo, imparzialità e modestia. Di fatto l’improbabile sforzo di porre a tutti i costi i contendenti sullo stesso piano comporta omissioni e stravolgimenti dei fatti storici. Tutti condividono subdoli equivoci, parlando per esempio di una non meglio precisata Palestina e di palestinesi, così da farli apparire gli unici legittimi abitanti. Ogni volta è di conseguenza insinuata la colpevolezza ebraica.
Basti dire che per Alessia De Luca Israele discrimina i palestinesi anche al proprio interno e li massacra fuori; che per Gianluca Ales Hamas è fondata e diretta da teologi e politici, poi ha pure un’ala militare ma questa mira “semplicemente la riconquista del loro territorio”; che per Ugo Tramballi la brutalità di Hamas è solo un modo di manifestare la disperazione e di ricordare a tutti la questione palestinese.
A detta degli stessi organizzatori, l’iniziativa è stata seguita in diretta da centosettantamila studenti, anche dall’estero. Ora le registrazioni sono disponibili a tutti on line, dove risultano ulteriori visualizzazioni. L’evento era stato ampiamente pubblicizzato, promosso persino dall’Ufficio scolastico regionale della Lombardia. Non si sono poi lette critiche né dissociazioni di sorta.
A inizio dicembre presso un pubblico istituto superiore milanese, davanti a scolaresche provenienti da varie scuole superiori, si è tenuto il convegno “La vita offesa: che fine ha fatto il diritto internazionale?”. A organizzarlo è un sedicente Coordinamento delle Scuole Milanesi per la Legalità e la Cittadinanza Attiva.
In Rete si può vedere il filmato dell’analogo convegno dello scorso anno scolastico, sempre della serie “sui diritti umani”, dal titolo “Le ragioni della pace”. Davanti agli studenti di diversi istituti si sostenne che la guerra in Ucraina non è poi così importante, che le sue cause non sono quelle che ci raccontano, che la colpa è tutta nostra, e che per avere la pace basta volerla. I problemi in giro per il mondo sarebbero “ben altri”, dalla carenza d’acqua al cambiamento climatico. Non bisognerebbe spendere danaro per le armi, farlo sarebbe anzi la vera causa delle guerre. Per far terminare subito gli scontri basterebbe andare al confine disarmati e tendere le mani all’aggressore spiegandogli che uccidersi a vicenda è cosa stupida.
Si può immaginare che anche per Hamas sia stata proposta la stessa formula. Lo scorso anno tuttavia ci fu almeno l’intervento di un giurista, l’unico davvero degno di un contesto scolastico. Stavolta invece ai relatori, al solito assortimento estremamente unilaterale, a cominciare da Luisa Morgantini, si è affiancato il prof. Luigi Ferrajoli, come a dare una parvenza di rispettabilità all’iniziativa. Peccato che non si tratti di un esperto di diritto internazionale ma di teoria formalizzata del diritto, e peccato che quando si tratta di Medio Oriente costui prenda a sproloquiare di “vendetta”, “massacro” e “rappresaglia” da parte di Israele, che terrebbe “l’intero popolo palestinese in una condizione di oppressione e di apartheid”, facendo sì “che a un certo punto una parte di questo popolo esploda in forme criminali”.
Ma per ora non possiamo che attendere la registrazione sperando che i nostri timori vengano smentiti.
Col nuovo anno, sul primo numero del giornalino studentesco (curato, pagato, stampato e distribuito dalla scuola in quanto “progetto per l’ampliamento dell’offerta formativa”), esce un articolo a tema, richiamato anche in copertina con tanto di colomba della pace.
Secondo l’autore un segno di solidarietà con un popolo appena devastato da torture, mutilazioni, stupri, l’eccidio di milleduecento persone, perlopiù civili, vecchi e bambini compresi, colpevoli solo di essere ebrei o israeliani o semplici ospiti di Israele, un tale gesto insomma sarebbe “inopportuno e fuori luogo” a scuola perché offenderebbe eventuali studenti che avessero “parenti proprio ora nella Striscia di Gaza”.
Sullo sfondo di una ricostruzione fantasiosa e faziosa della questione palestinese (Israele amministratore fiscale e anagrafico a Gaza, Intifada ridotta a lancio di sassi, popolazione di Gaza “deumanizzata e odiata dagli israeliani” e costretta a “rimanere segregata in questa prigione a cielo aperto”, “politiche di odio perpetrate dallo status quo israeliano”) si concede spazio anche a qualche perplessità su Hamas (“metodi di lotta crudeli”, “metodi di guerra barbari e comprendenti crimini di guerra”, “da diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’UE, Hamas viene identificata come organizzazione terroristica”).
Non si tratterebbe però di aspetti cui dare troppa importanza, anche perché a ben vedere Israele non è da meno: la “brutalità dei metodi di guerra degli uomini di Hamas è più evidente rispetto a quella dell’esercito israeliano in quanto compiute in prima persona e poiché nei video che si stanno diffondendo su internet viene trasmesso molto marcatamente l’odio col quale questi uomini agiscono”.
Hamas, soprattutto, cerca di fare quel che può (“È necessario affermare che questa guerra è impari”), con buone ragioni. Anzitutto doveva scongiurare accordi pacifici e dunque non poteva non compiere i suoi “attacchi”: “Se altri paesi a favore dello Stato Palestinese riconoscessero politicamente Israele, il sogno di indipendenza degli abitanti della striscia di Gaza morirebbe definitivamente. Inoltre, recentemente l’Arabia Saudita stava per concludere un accordo con Israele per favorire il commercio tra i due stati. Se Hamas non avesse attaccato il territorio israeliano, facendo saltare gli accordi, la striscia di Gaza avrebbe perso uno dei suoi alleati più importanti”. L’unica soluzione possibile e auspicabile è quindi la totale distruzione di Israele: “È necessario far presente che la condizione di esistenza della resistenza palestinese e conseguentemente di Hamas è l’esistenza d’Israele”. Anche a proposito di quest’ultima vicenda non si può evitare di chiedersi anzitutto chi ci sia dietro le presunte spontanee riflessioni degli studenti.
A metà gennaio, tramite la posta istituzionale, viene diffusa la rassegna stampa dell’associazione Libera. Alla sua tipica ossessione giustizialista stavolta si uniscono alcune notizie internazionali: una sul mercato delle droghe in Libano, due sugli USA (anche per l’arresto di Assange, spacciato per un perseguitato politico), ben tre sulla presunta “mattanza” israeliana di giornalisti a Gaza, un paio sulla “strage di bambini a Gaza” da parte di Israele, più altri consentanei appelli alla pace. Vi si legge di “assedio totale della Striscia di Gaza”; “Palestinesi detenuti arbitrariamente da Israele”; “attacchi diretti ai civili e… attacchi indiscriminati contro obiettivi civili… assolutamente vietati dal diritto internazionale umanitario e… persegui[bili] come crimini di guerra”; “metodi di rappresaglia come togliere cibo, luce, acqua ad una popolazione… senza vie di fuga ed impossibilitata a proteggere le famiglie, i bambini e gli anziani”; “massacri compiuti nella striscia di Gaza dall’esercito di Israele con l’idea di cacciare i palestinesi da una terra che ritengono appartenga tutta agli ebrei per diritto divino… tragica dimostrazione che siamo ancora sotto il tallone della legge del taglione, dell’occhio per occhio, dente per dente; anzi, peggio, siamo ancora sotto l’arrogante e stupida pretesa reazionaria e razzista, del Gott mit uns… Come se Cristo non fosse mai nato, il Vangelo mai predicato”. Nelle intenzioni di quanti hanno diffuso tali farneticazioni denigratorie, si tratterebbe di contributi all’Educazione Civica.
All’appressarsi del Giorno della Memoria, viene invitato ad un incontro con gli studenti un eminente esperto, italiano di nascita poi naturalizzato israeliano, per dialogare sulla storia e la cronaca mediorientale. Il suo intervento si intitola “Riflessioni su Israele e Palestina: una realtà complessa e spesso semplificata”. Serpeggiano subito le obiezioni. Qualcuno sembra temere che l’argomento possa ingenerare proteste, disordini, addirittura violenze. Così un ricatto del tutto ipotetico minaccia di sottrarre preventivamente al lavoro educativo alcuni temi, abbandonandoli alla chiacchiera e alla manipolazione. Qualcun altro (sempre docenti, si badi bene) si chiede perché mai, se si tratta della situazione israeliano-palestinese, manchi una voce palestinese. Non è dato sapere chi e cosa s’intenda con una simile “voce”, né quale tratto etnico-geografico, per non dire altro, inficerebbe l’autorevolezza scientifica dell’esperto individuato con supposta sconsideratezza. Qualcosa non va, qualcosa in precedenza sfuggito. Il progetto scolastico, benché già approvato come tutti gli altri e insieme ad essi, deve ora seguire un altro binario tutto suo per essere sottoposto ad apposita attenta selezione. Un trattamento speciale, forse una soluzione definitiva. In vista del Giorno della Memoria.
Se tutto questo accade in un istituto esente da movimentismi estremi, sempre in cima alle classifiche nazionali dell’eccellenza, chissà che altro succederà altrove. Non sarà ormai giunto l’improrogabile momento di prendere coscienza di simili fenomeni, e di capire come sia più efficace contrastarli?