Il giornalista di Repubblica, Raffaele Oriani, in una lettera diffusa da una “fonte interna” a mezzo mondo (quale maestria), afferma che “il 7 Ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 Ottobre è la vergogna di noi tutti”.
Questa affermazione, apparentemente presentata come un moto di sdegno, in realtà sembra più uno stratagemma dialettico adottato da chi ha una propria opinione, del tutto legittima ma non per questo condivisibile, della questione israelo-palestinese che non coincide con la linea, anch’essa del tutto legittima, del quotidiano per cui finora ha lavorato.
Il 7 Ottobre non è solo la vergogna di Hamas ma di un sistema mediatico informativo che per decenni ha diffuso la narrativa dei poveri Palestinesi e dei cattivi, cattivissimi Israeliani, anche quando i Palestinesi rifiutavano qualunque piano di pace e di spartizione, quando compivano attentati proprio durante gli accordi di Oslo, quando insegnavano nelle loro scuole, con gli aiuti europei e americani, l’odio per gli Ebrei. Che poi ci sarebbe da chiedersi come mai, a fronte di centinaia di migliaia di vittime siriane, curde e di altre nazionalità, solo nel caso dei Palestinesi, con 20.000 vittime (secondo cifre fornite da Hamas e quindi tutte da verificare) si parli di genocidio e di vergogna per chi non si allinea al pensiero unico dei “Palestinesi vittime”.
D’altra parte, le posizioni di Raffaele Oriani su Israele e Palestina sono ben definite da tempo.
Tra il 15 agosto e i 12 settembre 2005 Israele attua il piano disimpegno unilaterale da Gaza con lo smantellamento dei 21 insediamenti israeliani presenti nella Striscia e il trasferimento forzato degli 8.000 coloni residenti negli stessi.
Pochi giorni prima l’inizio dello sgombero, il 6 agosto, il supplemento del Corriere della Sera “Io Donna” pubblica un’intervista di Raffaele Oriani ad Ahmed Abu Tawahine, del Gaza Mental Health Program, organizzazione non governativa palestinese, improntata a dimostrare la durezza dell’occupazione israeliana e già pronta ad elaborare un nuovo capitolo della narrativa propal, quella di Gaza vista come una prigione a cielo aperto.
Poco più di un anno dopo, a dicembre 2006, sempre su “Io Donna”, un altro articolo di Raffaele Oriani che, non potendo parlare di Gaza come di una prigione a cielo aperto visto che poco tempo prima c’erano state le elezioni che avevano visto la vittoria di Hamas dopo che l’organizzazione terrorista aveva eliminato, nel senso letterale del termine, gli avversari di Fatah, si sofferma sulla situazione in Cisgiordania, con un report fotografico accompagnato da un testo in cui afferma che “è disseminata di centinaia di check point israeliani: tra villaggio e villaggio, strada e strada o in piena campagna. In questa immagine a una ragazza di Nablus viene negato il permesso di lasciare la città per recarsi a Ramallah.”
Insomma, tornando alla “lettera” di Raffaele Oriani, c’è una differenza tra chi pretende dal giornale per cui lavora una linea editoriale rispondente alla realtà dei fatti e chi, evidentemente abituato a linee più “ideologiche” dei mezzi di informazione, alza la voce perché la linea del giornale è orientata più a informare, che è quello che dovrebbe fare un giornale, che ad emozionare i lettori per indurli a condividere la propria opinione della questione israelo-palestinese. La libertà di stampa fortunatamente lo consente a Oriani, così come consente a noi di proporre la nostra lettura.