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PESSIMISMO 6. Le tre ‘I’

PESSIMISMO 6. Le tre ‘I’.

 

Nelle precedenti puntate dedicate alle ragioni del mio pessimismo ho trattato di alcuni temi di politica internazionale che mi spingono verso questo stato d’animo. Ho parlato, segnatamente, di Ucraina, Taiwan, Corea del Nord e Stati Uniti: scenari molto diversi gli uni dagli altri, ma accomunati dal fatto che mi fanno vedere un futuro offuscato da nuvole scure e minacciose.

Restano ancora tre Paesi da nominare, e li unisco tutti e tre in quest’unica nota, perché ho molta voglia di passare a parlare di qualcos’altro, anche perché, dalle mie parti, chi mostra di essere troppo pessimista rischia di passare per jettatore, e non mi farebbe piacere. Sono tre Paesi che non sono tre superpotenze, e il cui destino, in teoria, non dovrebbe fortemente incidere su quello complessivo del pianeta. Eppure, per motivi soggettivi, sono quelli per me più importanti. Per una singolare coincidenza, il loro nome comincia sempre con la I. Nelle agende i tre nomi appaiono uno dopo l’altro, perché dopo la prima lettera (ossia la I) vengono tre consonanti immediatamente consecutive: la R, la S e la T: Iran, Israele, Italia.

Mi limiterò a poche righe per ciascuno dei tre, senza rispettare l’ordine alfabetico. La domanda di fondo, per ciascuna delle tre I, è: “ottimismo o pessimismo”?

Rispondo di getto.

Iran. Credo che il pessimismo sia obbligatorio. Il regime degli ayatollah non è assolutamente riformabile, in quanto il fanatismo ne rappresenta l’anima, la ragion d’essere, il DNA costitutivo. Pensare ancora, a 44 anni dalla rivoluzione khomeinista, che, col tempo, possa ammorbidirsi, è una tragica illusione, perché i fatti dimostrano in modo inequivocabile l’esatto contrario. Il regime sa benissimo che, se allentasse solo un poco le redini, salterebbe tutto. E l’odio psicopatico vero “l’entità sionista” è il cuore pulsante del corpo malato della teocrazia. L’unica soluzione possibile sarebbe una contro-rivoluzione interna, che, allo stato, appare alquanto improbabile. La corsa al nucleare continua, pare che si sia ormai molto prossimi all’obiettivo. Ciò non potrà essere permesso, costi quel che costi. Un tragico scontro armato pare ineluttabile.

Italia. Qui nutro un cauto ottimismo. Devo dire che, nonostante le molte e giustificate preoccupazioni per l’ultimo esito elettorale, il sistema democratico ha mostrato di reggere. Le nostre istituzioni appaiono solide, l’opinione pubblica si mostra vigile e partecipe, non si verificano i gravi e continui disordini di piazza che segnano, per esempio, la Francia. Certo, quasi ogni giorno qualche esponente della maggioranza si lascia scappare una “voce dal sen fuggita”, e quasi ogni giorno la cosiddetta sinistra si abbandona a gesti di becera intolleranza, non trovando di meglio da fare che insultare gli avversari o impedire loro di parlare. Quanto mai attuali le memorabili parole di Ennio Flaiano, secondo cui in Italia ci sono due tipi di fascisti, i fascisti e gli antifascisti. Ma ho l’ingenua sensazione che gli italiani, nel complesso, siano un po’ migliori della loro destra e della loro sinistra. E comunque, non vedo politici di primo piano paragonabili, per esempio, a Trump, Putin, Orban oppure (purtroppo, purtroppo, purtroppo) Ben Gvir.

Israele. Ottimismo. Non che non ci siano minacce o pericoli, anzi. Ce ne sono, e tanti. Minacce e pericoli esterni ed interni (a entrambi ho fatto cenno nelle righe di sopra), ed è difficile dire quali siano quelli prevalenti. Io credo che la battaglia, contrariamente a quanto qualcuno pensa, sia unica, perché Israele si difenderà tanto più efficacemente dai nemici esterni quanto meglio saprà preservare i suoi millenari valori morali. Oggi questi valori comprendono anche il concetto di democrazia, ma altri – giustizia, rispetto delle minoranze, sollecitudine, senso del limite, umiltà – risalgono agli antichi profeti biblici, e conservano ancora intatta la loro attualità. Israele deve ascoltare la voce dei suoi padri, e deve sapere distinguere i veri dai falsi profeti. I tanti straordinari amici che ho in quella terra lo stanno facendo, giorno per giorno, con tenacia, fiducia, a volte rabbia, e sono certo che saranno loro a prevalere.

Francesco Lucrezi, storico