Pier Paolo Pasolini ha lasciato un legato prezioso, dal quale però non si attinge a piene mani, un poco per pigrizia intellettuale, un poco perché costringerebbe noi tutti a guardarci negli occhi. Citiamoci addosso (copyright altrui) quando scrivemmo qui (Antifascismo, 26 aprile 2023):
“Il fascismo ha fatto infiniti danni” diceva Renzo De Felice a Michael Ledeen “ma uno dei danni più grossi che ha fatto è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste (a parole, e nella loro più intima e sincera convinzione). Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo” (Intervista sul fascismo, Laterza, Bari, 1975, p. 7).
E così diceva Pasolini al riguardo: “Questo principio politico assolutamente democratico è attualizzato da Pannella attraverso l’ideologia della non-violenza. Ma non è tanto la non- violenza fisica che conta (essa può anche essere messa in discussione): quella che conta è la non violenza morale; ossia la totale, assoluta, inderogabile mancanza di ogni moralismo” (Apriamo un dibattito sul caso Pannella, Corriere della Sera,16 luglio 1974, in: Pier Paolo Pasolini, Il fascismo degli antifascisti, Garzanti, Milano, 2018, p. 26). Indi, troviamo Pasolini che spiega: “Esiste oggi una forma di fascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più” (Fascista, op. ult. cit., p. 35). Qui Pasolini anticipa (l’articolo era del dicembre 1974) quel che verrà, quando si combatterà il fascismo delle etichette delle bottiglie di vino, mentre quello poi trasfuso (anche) nella definizione IHRA di antisemitismo sarà sostanzialmente trascurato: basta vedere le schede per i docenti dove si esaminano puntigliosamente i miti, ma si trascurano altrettanto puntigliosamente i miti sugli ebrei d’oggi, al secolo: israeliani.
Eppure uno studioso dei miti aveva scritto che “Con l’esperienza religiosa ebraica il d-o oscuro che fa da sfondo alle mitologie venne in primo piano, quale forza direttamente agente nella storia, e perse così una parte della sua oscurità, quasi acquistando volto. La condizione dei devoti dinanzi a tale d-o s’avvicinò sempre più allo “stato di veglia” eracliteo, e la loro difesa contro i dolori imposti dalla storia si esplicò nell’identificazione del tempo storico con il “tempo di D-o” (Furio Jesi, Mito, Mondadori, Milano, 1980, p. 68). Non avremmo disdegnato di rivedere i riferimenti di Vittorio Strada al “nucleo mitopoietico che anima la macchina ideologica del marxismo”, non ultimo quello iniziatico, a chi un tempo s‘impegnava nell’esegesi dei testi marxisti, senza intuire che si addentrava più nella magia che nella scienza. Perché secondo Robert Tucker, Marx non era un economista bensì un moralista che presiedeva allo sviluppo della filosofia post – hegeliana nell’ambito del mito (Philosophy and Myth in Karl Marx, Cambridge University Press, N.Y., 1967, p. 233 ss.). Ora, se tutto questo fosse vero (e non lo possiamo escludere del tutto) saremo costretti a pensare che la correttezza politica non costituisce espressione della degenerazione del marxismo, bensì di una sua puntigliosa e coerente continuazione. Questi movimenti che impediscono agli autori di parlare delle loro opere alla Fiera del Libro di Torino, forse non sono fascisti, perché il fascismo è gerarchico, monolitico, antropologicamente severo e inflessibile, ma non è moralistico; quindi, quei movimenti sono comunisti, nel senso tragicamente poetico di Karl Marx. Il quale Marx, dopo aver riempito d’insulti ebrei ed ebraismo (salvo ad avere una figlia, Eleanor, orgogliosamente ebrea, al riguardo vedi Henry R. Rosenthal, I am a Jewess, Morning Freiheit, May 10, 1987; Gian Mario Bravo, Le Origini Del Socialismo Sionista, Studi Storici, vol. 27, no. 4, 1986, p. 877), ne attinse a mani piene, limitandosi a surrogare il ruolo del popolo eletto con quello della classe eletta: il proletariato, come ebbe a notare un drammaturgo, a dimostrazione che la cultura può essere, in casi isolati, più fertile delle discipline specialistiche. Forse non sarà esattamente così, ma ci piace pensarlo.