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Paul Newman & Exodus, libro e film: lezioni dal dimenticatoio

Jenny Singer, su Forward del 15 maggio 2023 scrive di Exodus (Doubleday, 1958), il libro di Leon Uris, descrivendolo come “Il best seller che ha plasmato una generazione di ebrei – qualcuno lo legge ancora?”  Sessantatré anni prima, Giorgio Romano nel recensire Exodus  su La Rassegna Mensile di Israel ,Vol. 26, No. 1/2 (Gennaio-Febbraio 1960), pp. 62-64, scrisse : “Detto questo e facendo tutte le riserve sul valore letterario dell’opera (che ha trovato critici severi in A. V. Shermann  e in Joel Blocker su due numeri di « Commentary ») dobbiamo dire che essa rappresenta un grande servizio reso allo Stato d’Israele, nonostante i suoi difetti, forse parzialmente per i suoi difetti (..) di questo libro si può dire che gioverà allo  stato ebraico come una vittoria militare e che il suo richiamo alle masse ha una forza di propaganda formidabile e ha certamente indotto molti a pensare a Israele e ai problemi ebraici. Per esso persone che non leggono le notizie poltiche e tanto meno i libri di storia, si sono appassionate per le vicende di un popolo che ha lottato strenuamente per conquistare la sua liberta e conservarla (..)  Non mettiamo i punti sugli i e non segniamo con la matita rossa o quella blu le pagine di questo romanzo potente e avvincente (..)  può diventare un invito a non essere di troppo inferiori all’immagine che Leon Uris presenta dell’Israeliano nuovo“.

La predetta Jenny Singer, dopo aver descritto puntigliosamente il ruolo svolto dal libro e, in seguito, dal film con Paul Newman ed Eva Marie Saint (ormai quasi centenaria; ebbe per partners Marlon Brando in Fronte del Porto e Cary Grant in Intrigo Internazionale) soggiunge che “è simile a Via Col Vento –  un romanzo che ha cambiato una generazione, poi è caduto in disgrazia, ma che è ancora profondamente radicato nella coscienza di una vecchia generazione” 

Perché ne discorriamo? Exodus era anche un libro di storia, e la Singer racconta che in alcuni focolari ebraici era l’unico e solo libro ebraico o sull’ebraismo. E’ stato criticato per l’impronta didascalica e per lo spirito manicheistico, anche per non perdere la sana abitudine all’autoflagellazione. Per esempio, Edward Shapiro (We are many – Reflections on American Jewish History and Identity,  Syracuse University Press, N.Y.,2005, p. 67) scrive che Exodus applicherebbe alla sua narrazione tutti gli stereotipi americani, per cui il conflitto contro i britannici somiglierebbe alla Guerra d’indipendenza americana.   Tuttavia, se la Francia ha Giovanna D’Arco e la Spagna El Cid Campeador, perché noi non possiamo riconoscerci in Paul Newman/Ari Ben Canaan, che fra l’altro era “de sinistra” (quale Chaver kibbutz)?

Tuttavia, questo non è il punto. Il punto è che attraverso Exodus si veniva iniziati alla storia degli ebrei e del sionismo, per poi passare ad altro. Io, per esempio, passai subito alla storia degli ebrei di Rufus Learsi (1887 – 1964) del quale scoprii subito, stante il mio amore per le cose inutili, che il suo cognome voleva dire Israele alla rovescia. Con Exodus ti scuotevi tutti i vizi atavici per ritrovarti spiegata la storia (romanzata) degli ebrei assieme alla proposta di diventare non più un reietto ma un possibile eroe: non male. Il punto – dicevamo – è che oggi non si legge più, e dato che il libro si acquista senza la coeva volontà di leggerlo, e dato che non so chi dei giovani abbia in casa una decina di libri di storia del popolo ebraico, c’è poco da fare gli spiritosi su Exodus: quanto sarebbe bello che lo leggessero, per poi approdare ad altri libri. La c.d. histoire romancée è pur sempre storia e senza storia non vi è né passato né futuro. Non bisogna però limitarsi a qualche lamento sulla refrattarietà alla lettura: bisogna arricchire il bouquet, andando ad esaminare quali libri leggere. Parliamone.