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A proposito di sparatorie e attentati

Da alcune settimane in Israele si assiste ad una recrudescenza degli attacchi terroristici palestinesi. Non si tratta più di investimenti premeditati o di attacchi all’arma bianca, bensì di veri e propri attacchi con armi da fuoco eseguiti da terroristi palestinesi generalmente affiliati ad Hamas o alla Jihad che colpiscono all’improvviso per la strada, prendendo di mira passanti e avventori di locali di ritrovo.

Tale recrudescenza della violenza armata colpisce Israele in un momento particolarmente delicato e critico dal punto di vista istituzionale per la divisione nella società israeliana provocata dai recenti provvedimenti in materia di giustizia presi dal nuovo governo a guida Netanyahu.

La crisi istituzionale in atto, con manifestazioni quotidiane nelle principali città del Paese, mette Israele sotto i riflettori dei media mondiali come accaduto in passato solo in occasione dei conflitti in cui si è trovato coinvolto lo Stato ebraico. Ne consegue che gli attentati di questi ultimi giorni, pur se opera, per lo più, di “lupi solitari” come avveniva in passato, riscuotono più attenzione grazie agli inviati presenti sul posto provenienti da vari Paesi. Ma in che modo vengono riportate le notizie di questi attacchi terroristici? A titolo esemplificativo, riporterò alcuni titoli dei media, sia italiani che internazionali, sull’attacco terroristico del 9 marzo scorso a Tel Aviv, quando un giovane palestinese ha aperto il fuoco sugli avventori di un ristorante in Dizengoff Street. La modalità ricorda quella degli attacchi che funestarono Parigi nel novembre del 2015 e che furono definiti, giustamente, come attentati terroristici. Eppure, i media, nel caso dell’attacco in questione (ma questo vale anche per altri attentati palestinesi in Israele) hanno usato una definizione singolare visto il caso: sparatoria. “Israele, 3 feriti in sparatoria a Tel Aviv”, ha titolato il Sole 24Ore; “Sparatoria nel cuore di Tel Aviv: tre feriti, uno in gravi condizioni” il titolo del quotidiano online Fanpage. Il titolo di Repubblica sull’attentato è facile ritenere che abbia creato un po’ di confusione nei lettori che saranno stati indotti a ritenere l’attacco… ops, la “sparatoria” legata alle manifestazioni di questi giorni: “Israele, blocchi nelle strade dei manifestanti. Sparatoria a Tel Aviv: tre feriti. Netanyahu a Roma: “Siamo un solo popolo, la minaccia è l’Iran”. La Stampa parla sempre di “sparatoria” ma almeno ha il merito di riportate il plauso di Hamas per quanto accaduto “Sparatoria a Tel Aviv, tre feriti. Hamas: “Operazione eroica”. Netanyahu: “Combatteremo i terroristi oggi e sempre”. I media stranieri non sono stati da meno:

“Israele, 3 feriti in sparatoria a Tel Aviv” ha titolato LaPresse. Interessante il titolo della svizzera RSI News che parla di un morto omettendo di chiarire che il morto in questione fosse il terrorista: “Spari in centro a Tel Aviv, un  morto”. La Reuters ha titolato “Sparatoria a Tel Aviv, tre feriti”, correggendo successivamente il titolo (i vantaggi dell’era elettronica che consente di correggere titoli indecenti) in: Uomo armato di Hamas ferisce tre (persone) nell’attacco di Tel Aviv”.

Per ultimi ho lasciato altri tre titoli. Il primo è quello di Sky Tg24, che sembra soprattutto preoccupato della sorte del terrorista “Polizia, terrorista Tel Aviv ucciso da agenti sicurezza: tre feriti”. Il secondo e quello del Fatto Quotidiano che riporta correttamente i fatti omettendo di dire che l’attentatore fosse palestinese: “Tel Aviv, attacco nel centro della città: 23enne spara a tre persone davanti a un bar. Ucciso l’attentatore”. L’ultimo titolo è quello di un media online straniero, l’iraniano Pars Today che definisce “coloni israeliani” i feriti di Tel Aviv: “Sparatoria a Tel Aviv, feriti tre coloni israeliani, uno grave”. I quali titoli  risultano particolarmente significativi per comprendere come viene fatta informazione su Israele. Il termine “sparatoria”, che evoca guerre tra gang più che attacchi terroristici, sembra utilizzato più per occultare i fatti che per descriverli.

Il modo in cui sono stati titolati gli articoli sull’attentato a Tel Aviv del 9 marzo è identico a quello con cui, da decenni, vengono solitamente riportate le notizie di attentati, violenze e attacchi missilistici contro Israele, in cui si tende a minimizzare l’evento (che alcuni media non hanno neppure riportato) e ad evitare di menzionare la matrice palestinese dell’attacco, oppure a riportare all’inizio del titolo la reazione israeliana (“terrorista ucciso da agenti di sicurezza…”) e poi l’evento che ha causato la reazione. E’ uno schema informativo che fa disinformazione anche sulle operazioni militari su Gaza, iniziando il titolo con gli attacchi israeliani e poi specificando, spesso solo nel corpo dell’articolo, l’evento che provoca gli attacchi, cioè il lancio di missili.

Purtroppo, l’osservatore distratto, colui che ascolta i tg o legge le notizie durante la giornata in modo quasi passivo, preso com’è dai problemi quotidiani, si concentra solo sul titolo senza approfondirsi nei particolari dell’articolo e finendo col credere nell’immagine del Davide e Golia “rovesciata”, in cui i Palestinesi sarebbero il “Davide” che combatte con il “Golia” israeliano. Questa immagine, tanto cara a certi commentatori delle vicende mediorientali, finisce con l’alimentare un pregiudizio che impedisce qualunque confronto basato su fatti concreti e non su slogan e suggestioni per comprendere la complessità del Medio Oriente e, in particolar modo della questione israelo-palestinese.

Il mondo dell’informazione ha il dovere di affrontare questo modo distorto di informare che, di fatto, disinforma e con essa la politica, che esercita una non trascurabile influenza sui media, e il mondo della cultura (anche ebraico), che dovrebbe favorire una conoscenza dell’Ebraismo che non si limiti alla Shoah ma che faccia conoscere la storia ebraica e, in particolar modo quella di Israele in tutta la sua complessità e varietà culturale, smantellando i pregiudizi che pervadono la società italiana.

Daniele Coppin