BUON COMPLEANNO
Per fare gli auguri di buon compleanno, gli Ebrei usano questa formula: ad mea veesrìm shanà, che letteralmente significa “fino a centoventi anni”, durata della vita di Mosè.
C’è chi dice che dei suoi cinque libri, soltanto quattro parlano di lui, escludendo il libro di Bereshìt (Genesi), ma non è vero, perché proprio alla fine della Parashà (brano) di Bereshìt, dopo la descrizione delle vite di Adamo e dei discendenti di Caino, tutti vissuti più di quattrocento anni, c’è una frase: “l’uomo vivrà fino a centoventi anni”.
Subito dopo sono descritte le vite di Noè e dei suoi discendenti, anch’essi vissuti più di cinquecento anni.
La frase, quindi, appare come un intercalare oscuro, perché non si capisce immediatamente il suo significato.
Bisogna arrivare all’ultima Parashà del Pentateuco, in cui viene detto che la vita di Mosè si concluse a centoventi anni, cosa ripetuta nel primo capitolo del libro di Giosuè.
I canti che si leggono nel giorno in cui viene letta l’ultima Parashà, sono quelli di un giorno feriale, pur essendo festa solenne (mo’èd), proprio per rispetto alla morte di Mosè di cui si parla al termine dei cinque libri.
Qui è la chiave che ci apre la porta della frase che compare in Bereshìt, perché l’uomo (adam come Adamo) di cui si parla è proprio Mosè, uomo (adam, minuscolo) tra gli uomini.
Il perché venga usata questa parola, altrimenti criptica, la si trova nell’opera del Profeta Ezechiele, che si autonomina “ben adàm” (figlio d’uomo), intendendo per uomo proprio Mosè, di cui Ezechiele si ritiene figlio spirituale.
Se mettiamo tutto insieme, il quadro è completo: l’adàm di Bereshìt è Mosè, che vivrà centoventi anni, così come confermato alla conclusione dei cinque libri.
Notiamo, inoltre, che siamo al termine della creazione e il concetto della mortalità dell’uomo viene così sottolineato, perché anche l’uomo che ha parlato “faccia a faccia con D.” avrà una vita limitata.
Soltanto quanto abbiamo fatto in vita ci sopravvivrà, se il nostro comportamento sarà stato consono a quanto D. ci ha insegnato “be yad Moshè”, per mano di Mosè.
Ecco che l’augurio che si va a fare a chi compie gli anni assume un significato profondo, perché auguriamo a lui, di essere considerato come Mosè, cui D. stesso fa l’augurio all’inizio di Bereshìt, di vivere fino a centoventi anni.
Questo dimostra pure che nella Torà si può trovare ogni cosa, soprattutto quando saremo riusciti a dare un senso alla nostra vita.
Marco Del Monte, ingegnere